“L’etica è un tema che varia a seconda dei Paesi, delle zone, degli individui, dei gruppi, del periodo storico e dell’istruzione”, afferma Jón Rúnar Guðjónsson quando gli chiediamo di spiegarci cosa significhi per lui una caccia etica. Islandese attualmente residente in Danimarca, solitamente va a caccia nella vicina Svezia ma è stato anche in molti altri Paesi; grazie a queste esperienze, dove ha incontrato culture diverse, ha compreso che l’etica venatoria non è una semplice questione di bianco o nero che si possa riassumere in una frase. Gli abbiamo dunque chiesto di illustrarci questa tematica più in dettaglio, e vi invitiamo a leggere i suoi pensieri al riguardo.
Ho constatato che il concetto di etica varia notevolmente tra i Paesi e tra zone all’interno di essi. Per me è sempre importante avere rispetto per la selvaggina, non importa che sia piccola o grande. Non calpestare mai un animale o essere irrispettoso. Sono grato per la vita donata in modo che io e la mia famiglia possiamo avere un pasto delizioso da condividere.
L’etica è definita in modo significativo anche dall’ambiente. Nell’Europa continentale, colpire un uccello mentre si trova sul terreno è normalmente considerato un esempio di pessima etica della caccia, ma questo è dovuto al fatto che vi è una grande disponibilità di uccelli, senza che vi sia bisogno di un grande sforzo per cacciarli; più che altro serve una buona abilità al tiro. Ma se si va a caccia di pernici bianche in Islanda, si segue un gruppo di uccelli ed è necessario camminare per una quindicina di chilometri sulle montagne per trovarli; colpirli mentre sono sul terreno non viene considerato negativamente da un punto di vista etico, anche se l’opinione europea ha influenzato alcuni cacciatori islandesi. Più vai a caccia e più culture, zone e Paesi visiti, più variabile diviene il concetto di etica, che dipenderà maggiormente da animali, situazioni e luoghi.
Una buona etica include anche la conoscenza dei propri limiti e la scelta dell’animale adatto da colpire. Per fare ciò è necessario allenarsi e acquisire esperienza. Mi considero un tiratore abbastanza buono, tuttavia ho commesso errori che mi trattengono dal partecipare a battute di caccia guidata; preferisco avere più tempo per trovare l’animale che voglio catturare, quindi la caccia in notturna o pedinando la preda è ciò che preferisco, soprattutto quando dispongo di un equipaggiamento che mi aiuta a prendere la decisione corretta.
Ma avere l’equipaggiamento giusto non è sufficiente: devi conoscerlo, e molti cacciatori che iniziano a usare cannocchiali da puntamento termici o notturni non hanno questa conoscenza. Per questo motivo, ogni mercoledì sera, spiego a chi è interessato come utilizzare i dispositivi termici e per la visione notturna. Così ho constatato che molti non sanno come utilizzare due parti molto importanti: l’anello diottrico, che è l’anello più vicino all’occhio e deve essere impostato in modo che le icone sul display appaiano perfettamente nitide, e la messa a fuoco, effettuata tramite la manopola o l’anello solitamente più vicino alla lente. Quando si gestiscono con padronanza queste due regolazioni, è molto più facile effettuare un tiro eticamente corretto, scegliendo l’animale adatto e regolando il dispositivo nel modo migliore per un tiro molto preciso.
A parte la mancanza di quel tipo di conoscenze, fortunatamente non mi sembra che vengano commessi molti errori etici o di sicurezza. Però qualcuno dimentica di scaricare il fucile prima di salire o scendere da una postazione sopraelevata, oppure di mostrare a un altro cacciatore che la loro arma è vuota prima di salire su un veicolo. Questi sono aspetti in cui tutti potremmo fare di meglio.
Su altri aspetti etici della caccia non voglio forzare le mie idee sugli altri. Così come la religione e altri temi che riguardano la vita privata, l’etica è parte di ciò che sei e di come sei stato cresciuto. È molto personale. Quando me lo chiedono, illustro solamente il mio modo di fare le cose senza presentarlo come l’unico modo giusto. Anch’io ho commesso e continuo a commettere errori, ma cerco di imparare da essi e di evitare di ripeterli.
Infine c’è anche un’etica del tiro. Se parliamo di una buona etica di caccia, la maggior parte dei cacciatori concorda che si debba abbattere il bersaglio nel modo più veloce e meno doloroso possibile, ma vi sono differenze. Un colpo netto alla testa è un modo molto veloce di abbattere un animale, ma nel caso non vada a buon fine il risultato può essere un animale gravemente ferito che soffrirà per giorni prima di morire di fame o sete, e difficile da rintracciare. Per questo molti cacciatori affermano che un tiro pulito ed etico debba colpire la zona del cuore e dei polmoni; l’area da colpire è maggiore, l’animale non soffre e sarà più facile da recuperare.
Per me l’etica è l’insieme di molte cose prese in considerazione, tra le quali il tipo di selvaggina che si sta cacciando e quanti esemplari di quella specie vi siano nella zona. Poi c’è la distanza e la flora. In una foresta fitta, 80-100 metri sono per me la distanza massima, dato che un secondo tiro è quasi impossibile. In un campo o su una collina la distanza può essere decisamente superiore, avendo spesso l’opportunità di un secondo o terzo tiro, anche se tutti speriamo di chiudere la questione con un singolo tiro.
Ma come dicevo vi sono situazioni diverse. Andare a caccia di lepri con un 17 HMR significa quasi sempre tiri alla testa, perché è veloce, non si spreca carne ed è la parte più visibile di quell’animale. Nel caso di caprioli o cervi più grandi, miro all’area del cuore e dei polmoni. Se la vegetazione rende problematico il recupero dell’animale, tendo a mirare alla spina dorsale per un tiro basso oppure un tiro alto ai polmoni.
Quindi, per riassumere, una buona etica di caccia a mio parere è prima di tutto rispetto per la vita e la natura, sicurezza per gli esseri umani e abbattere il bersaglio nel modo più veloce e indolore possibile. Per me è fondamentale adattarsi a ogni situazione e ambiente per prendere decisioni consapevoli, che consentiranno a tutte le specie di prosperare nel lungo termine.
Jón Rúnar Guðjónsson
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