Jón Rúnar Guðjónsson
Fotografia:
Jón Rúnar Guðjónsson
Cresciuto tra i venti sferzanti e i ghiacciai perenni dell’Islanda, esplorando le montagne e la natura selvaggia sin da bambino, dormendo in buche scavate nella neve e ovunque ci fosse un riparo durante gli anni dell’adolescenza, e in seguito documentando la bellezza della natura selvaggia in qualità di fotografo e grafico professionista, Jón Rúnar Guðjónssons ha molte storie da raccontare. E queste storie vanno ben oltre quel che i suoi occhi vedono durante un’escursione di caccia.
Direi proprio di sì: essere a contatto con la natura, comprenderla e osservare i suoi elementi è decisamente normale per me. È qualcosa che noi islandesi ereditiamo alla nascita.
Jón Rúnar Guðjónsson
Da bambino ascoltavi molti racconti riguardanti la caccia prima di dormire?
A dir la verità sono stato il primo cacciatore all’interno della mia famiglia. C’erano molti amanti della natura, alpinisti, viaggiatori, escursionisti, ma nessun cacciatore. Il parente più stretto, il mio patrigno, era un cacciatore di oche, ed è stato il mio primo maestro. Avevo 11 anni quando ho iniziato ad andare a caccia di uccelli con lui. Il primo che ho catturato è stata una pernice. Ricordo molto bene come l’ho scovata nascosta nella neve e quel primo colpo che ho sparato.
Quando ripensi a quei tempi, a quando da ragazzino stavi seduto sulla neve in attesa, cosa ti viene in mente, cosa provavi?
Ho fatto escursioni in montagna per raccogliere mirtilli sin dall’età di cinque o sei anni. Andare a caccia di una pernice sembrava simile a fare escursioni, ma con un fucile o un calibro .22 in mano. Era una grande sensazione salire le montagne e tornare a casa dopo aver catturato qualche uccello per poi preparare un ottimo pasto.
Da bambino ho appreso molto riguardo alla natura: a percepirla, a fare i conti con gelo e venti sferzanti, a riconoscere i limiti del mio corpo. Adoravo stare da solo in mezzo alla natura, ma dicevo sempre a qualcuno dove mi sarei recato, così da potermi trovare nel caso succedesse qualcosa o mi infortunassi. La natura è sempre stata dentro di me, quando mi trovavo in un luogo selvaggio mi sentivo, e mi sento tuttora, in equilibrio con me stesso.
In quale zona dell’Islanda sei cresciuto? Qual era il paesaggio attorno a te?
Sono cresciuto in una piccola città portuale chiamata Hafnarförður, a circa 10 km a sud di Reykjavik. Casa mia era circondata da delle collinette (in Danimarca le chiamerebbero montagne). C’erano il mio lago preferito, le montagne, la lava e le rocce con cui giocare. Potevo uscire a piedi o in bici, o incamminarmi direttamente da casa mia verso la natura selvaggia. I miei genitori lavoravano tutto il giorno e io restavo solo o con i miei amici. Non ci vedevamo molto nemmeno durante i tre mesi di vacanza in estate, dato che all’epoca i ragazzini in Islanda nel periodo estivo aiutavano i pescatori nel loro lavoro.
Sembra un capitolo di un libro di avventure!
Sì, me ne rendo conto. La nostra infanzia era molto diversa. Nessuno possedeva un telefono cellulare e nessuno ci controllava. Ma tutti imparavano cosa fossero il freddo, la pioggia e il vento. Se al mattino non si fossero indossati i vestiti giusti, probabilmente verso metà giornata ti saresti ritrovato congelato o completamente fradicio. In questo modo abbiamo imparato la lezione e cominciato a scrutare le nuvole. Non avevamo una App con le previsioni meteo, seguivamo semplicemente i segni che la natura ci forniva.
Quando sono cresciuto non è cambiato nulla, ho solo iniziato a scalare montagne più alte e a portare un’arma con me. Faccio lo stesso ancor’oggi, dopo essermi trasferito in Danimarca una ventina di anni fa ho trovato un nuovo Paese e un altro modo di essere vicino alla natura. Cerco ancora la tranquillità, amo osservare e percepire la potenza della natura selvaggia. Non ho nemmeno un cottage nei miei luoghi di caccia in Svezia, solitamente dormo in un’amaca o per terra, proprio come facevo negli anni della mia infanzia.
Negli anni successivi hai solcato i sette mari per le tue escursioni di caccia. Queste esperienze devono essere state molto diverse rispetto a cacciare volpi artiche nel tuo Paese d’origine.
Sono stato a caccia in Inghilterra, Irlanda, Germania, Svezia, Lapponia e altri luoghi. E sicuramente andare a caccia di volpi artiche in Islanda è totalmente differente rispetto alla Danimarca, la Svezia, la Germania o anche l’Inghilterra. Il nostro governo vuole mantenere un numero basso di volpi artiche, e i cacciatori vengono pagati per ogni coda di volpe. È fondamentale gestire il numero di questa specie particolare, altrimenti distruggerebbe le colonie di uccelli come l’edredone comune, la sterna codalunga o l’uria. Questi uccelli sono ora specie minacciate perché in passato l’uomo ha costruito case o strutture nei luoghi dove facevano i nidi. Quindi è ora nostro dovere tenere le volpi artiche lontane da loro.
Ho lasciato l’Islanda per la Danimarca più di 20 anni fa. Mi sono reso conto che per un cacciatore c’erano molte più opportunità in Danimarca e Svezia che in Islanda, e non volevo rinunciare alla mia passione. Scherzando dico invece che il motivo reale del mio trasferimento è che la mia birra preferita si produce in Danimarca, e questa birra è disponibile in Islanda solo la settimana prima di Natale. Anche il mio sigaro preferito è di produzione danese. Quindi c’erano almeno due buoni motivi per trasferirsi…
Adesso quante volte vai a caccia (escluso per la birra)?
Dipende, ultimamente non molto a causa delle restrizioni ai viaggi causate dal Covid. Effettivamente è cambiato molto, prima della pandemia avevo molti piani per la Germania, l’Irlanda e l’Inghilterra, ma ho dovuto modificarli. L’anno prima della pandemia sono andato a caccia per un totale di 110 giorni, cosa che probabilmente non farò mai più. Quel totale include naturalmente il viaggio, non ho avuto un fucile in mano per tutti quei giorni. Quando siamo andati in Lapponia a caccia di alci, abbiamo guidato per 1700 km all’andata e altrettanti al ritorno. Ma la definisco comunque una battuta di caccia di una settimana perché non ho fatto altro in quelle giornate.
Adesso la mia passione è un po’ limitata da un attacco cardiaco che ho sofferto questa primavera. Ho ricominciato lentamente andando a caccia una volta ogni due settimane circa. Spero di aumentare presto la frequenza.
Perché vai a caccia? Qual è l’aspetto più importante per te?
La risposta più semplice è che amo la natura. E per questo capisco come sia importante interagire con essa, dato che gli esseri umani sono la specie che amministra la Terra. Ogni volta che costruiamo una strada, o modifichiamo qualcosa di naturale, stiamo anche cambiando qualcosa nella vita delle altre specie. Dunque è nostra responsabilità assicurare che queste specie non vengano minacciate o rischino l’estinzione.
Quando sono a caccia non sparo sempre agli animali che vedo. Vado in cerca di una preda solo quando il mio freezer si sta svuotando oppure quando qualcuno organizza una festa e ordina un cinghiale o un capriolo. Seguo anche delle regole ben precise: colpisco prima gli animali più deboli, che probabilmente non sopravviverebbero all’inverno.
Pertanto interagire con la natura facendo delle scelte e raccogliendone i frutti è il mio modo di mostrare amore e rispetto. Ho visto con i miei occhi cosa succede quando non si agisce per lungo tempo. Sono stato una volta in una zona dove per 20 anni nessun cacciatore aveva messo piede. Non c’è voluto molto per capire che tutte le volpi che vivevano in quell’area erano malate. Non c’erano quasi caprioli rimasti e nessun cinghiale. Abbiamo iniziato a eliminare le volpi malate e dopo qualche tempo la popolazione di animali è diventata più sana; caprioli, cinghiali e perfino lince e puma sono ritornati. Per me è stata l’ovvia dimostrazione di come l’interazione dell’uomo determini conseguenze positive eliminando gli animali malati.
Qual è il tuo approccio con coloro che sono scettici in merito alla caccia? Devi aver incontrato parecchie persone con opinioni diverse durante i tuoi viaggi in giro per il mondo.
Sì, incontro parecchie persone diffidenti. Credo che il dialogo sia molto importante. Cerco di spiegare che uccidendo un animale non distruggo la natura, ma che invece preservo gli animali sani tenendoli lontano da quelli deboli e malati, creando così spazio vitale per un altro animale sano. È anche importante comprendere da dove proviene la carne che mangiamo. Perfino la mia fidanzata ha smesso di essere vegetariana dopo averla invitata a cena e averle servito della selvaggina cucinata in casa, semplicemente perché ha un gusto eccezionale!
Un altro fattore è che il cibo vegetariano sta togliendo spazio anche alla fauna selvatica. Ogni grano di riso o mais deve essere coltivato da qualche parte, e questo significa che gli animali che vivono in quella zona devono spostarsi. Quindi talvolta coltivare cibo ecologico implica l’eliminazione di più vite della caccia stessa. Ogni essere vivente ha bisogno di uno spazio dove vivere e ogni animale ha diritto ad esso.
Inoltre nutriamo gli animali domestici con cibo principalmente composto da animali morti. Ho un forte senso dell’olfatto e riconosco l’odore di un animale morto, e quando entro in un negozio di animali domestici avverto immediatamente il forte odore di morte.
Ho constatato che è impossibile parlare con gli estremisti schierati contro la caccia – quei sabotatori che sono molto forti in Inghilterra e stanno diventando forti anche in Svezia – ma a loro volta i fanatici della caccia hanno la stessa mentalità, e le due fazioni non contribuiscono a un dialogo positivo indirizzato a trovare la migliore soluzione per la coesistenza delle specie e per un futuro in equilibrio con la natura a favore delle generazioni future. A mio parere avere la mente aperta, dialogare ed essere pronti a imparare dagli altri cose nuove e metodi migliori dovrebbe essere l’obiettivo di tutti. Non credo vada bene essere categorici.
La mia opinione nei confronti del cibo vegetariano è cambiata molto negli ultimi anni. Adesso la mia dieta è più bilanciata, mangio vegetariano una o due volte alla settimana, ma mi piacciono anche pesce e carne. Diciamo che sono a metà della catena alimentare, prestando sempre attenzione a tutti i punti di vista, imparando e valutando.
Segui dei rituali legati alla caccia?
Ritengo importante mostrare rispetto verso gli animali. Non li calpesto mai, non li tratto in maniera irrispettosa. Sono grato alla natura per avermi offerto una preda. Tocco l’animale con le mani per sentire lo stato dei suoi muscoli. Quando effettuo l’eviscerazione, esamino il corpo e gli organi interni: questo mi dice che vita ha condotto l’animale e se c’è qualche malattia.
Qual è il tuo momento preferito della giornata per andare a caccia?
Mi piace andare a caccia per 16-18 ore consecutive. A partire dal tardo pomeriggio, attendendo e muovendomi di soppiatto per trovare il cervo giusto; quindi poco dopo il tramonto passando a un equipaggiamento notturno; cacciando cinghiali tutta la notte, seguendoli o aspettando su una postazione rialzata; poi passando alla caccia ai caprioli; godendomi il sorgere del sole nella foresta, e infine cacciando fino a mezzogiorno circa. È la mia modalità di caccia preferita perché consente di osservare l’alternarsi degli animali nella foresta. Di giorno posso ascoltare il canto tra gli alberi di diversi uccelli e l’orchestra dei grilli nel prato. La sera porta altri tipi di uccelli, puoi sentire una volpe o un capriolo chiamare alla lotta i loro rivali o cercare una femmina, finché il corvo ti sorvola emettendo il suo verso… solitamente è questo che chiude la mia battuta di caccia, dato che poi per alcune ore non c’è molto movimento o attività.
Non essendo cresciuto con un cacciatore nella mia famiglia, sapevo bene come sopravvivere in montagna ma entrare in una foresta era qualcosa di nuovo per me. Quando ho avuto fra le mani il mio primo visore termico ho finalmente imparato a conoscere la vita nella foresta durante la notte. Adesso so bene come avvicinarmi a un animale, come reagiscono quando calpesti un ramo o se ti muovi troppo velocemente o a favore di vento. Col mio visore termico ho appreso molto riguardo al comportamento degli animali e ai loro sensi.
Inizialmente non volevo sparare con l’ausilio di un cannocchiale da puntamento termico, ma poi ho provato il meglio del meglio disponibile in quel momento, vale a dire Pulsar Thermion 2 XP50, e ho capito che vedevo tutto quel che era necessario per sparare un colpo preciso. Mi aiuta a decidere quali animali colpire: posso vedere la specie, il sesso, indicativamente l’età e le condizioni generali dell’animale.
Prima che la tecnologia termica raggiungesse il livello di eccellenza odierno, ci si poteva affidare soltanto alle proprie conoscenze su come l’animale si muove e si comporta per decidere se sparare o meno. Adesso attraverso il visore e il cannocchiale termico riesco persino a vedere i rametti degli alberi, posso assicurarmi che non vi sia nessun altro animale nascosto dietro a quello che sto puntando, e tutti i piccoli ma importanti dettagli per prendere la decisione corretta appaiono chiaramente. Sono ben consapevole di quale animale voglio colpire, che sia per procurarmi cibo o per regolare la popolazione.
Inoltre con un visore termico posso osservare cose divertenti come le farfalle, piccoli topi o i pipistrelli, che non immaginavo fossero di sangue così caldo. Lo strumento è veramente potente!
Recentemente hai condiviso delle splendide immagini dell’eruzione di un vulcano in Islanda, prese col visore termico Helion 2 XP50 PRO. Come ti è venuta questa idea?
Provengo dalla terra del ghiaccio, della neve, dei vulcani in eruzione e del fuoco. Volevo testare i limiti di questi strumenti e vedere a quale distanza un dispositivo termico è in grado di rilevare una sorgente di calore. Questo visore ha una distanza di rilevamento di 1800 metri e volevo metterlo alla prova su una distanza superiore. Avevo un’opportunità ideale dato che stavo per andare a visitare la mia famiglia in Islanda, che non avevo visto per due anni a causa del Covid.
Quando sono arrivato ho cercato un posto da dove poter osservare il vulcano. L’eruzione non era continua durante il mio periodo di permanenza, ma soltanto per alcune ore al giorno. Sono andato a Seltjarnanes, una località dove ho vissuto dall’età di 11 anni, e ho fotografato l’eruzione del vulcano con Helion 2 XP50 PRO dal porto al di là del mare, a una distanza di 32 km. Questa è la distanza fino alla quale riesce a lavorare!
Cosa ci dici delle tue tre figlie? Ho visto fotografie dove vanno a cavallo, sembra stiano crescendo anche loro a contatto con la natura. Che basi stai cercando di costruire per loro?
È importante per me che le future generazioni imparino il più possibile sulla natura e su come ogni cosa si svolge. Voglio anche che mangino cibi salutari, che provino dell’ottima carne e sappiano che quest’ultima non cresce in un sacchetto di plastica, ma è in realtà parte di un animale. Le porto anche a caccia con me, ma solo quando me lo chiedono espressamente. Ho predisposto dei luoghi particolari dove tutti e quattro possiamo cacciare insieme. Ma deve essere una loro scelta, non voglio forzare le persone a fare alcunché nella vita. Al giorno d’oggi essere un cacciatore è uno stile di vita, una scelta. Come vogliamo interagire con la natura dovrebbe essere una nostra scelta.
Le mie figlie mi hanno visto spesso macellare animali, hanno partecipato e appreso un po’ del mestiere, e poi prepariamo assieme dei deliziosi piatti di carne. La vera carne di selvaggina è di qualità enormemente superiore a quella generata in maniera convenzionale, e gli esseri umani per sopravvivere non hanno bisogno di mangiare così tanto come fanno adesso. Una minore quantità di carne ma di qualità decisamente superiore, una migliore vita per gli animali e un equilibrio più naturale tra uomo e natura sono la mia speranza per il futuro.
Mi auguro che sempre più persone riescano a comprendere che ogni scelta ha delle conseguenze, e più sprechiamo più dovrà essere creato. Procurandosi il cibo autonomamente, come ad esempio andando a caccia, si diventa più consapevoli delle proprie scelte e si raggiunge un maggiore equilibrio.
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